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Umberto Eco e il PCI, l’intellettuale piemontese nel libro del cassanese Crapis

La Redazione
La copertina del libro di Crapis su Eco
Scritto a quattro mani con il fratello Giandomenico, il libro recupera un vecchio saggio apparso sul settimanale Rinascita nel '63 e ne approfondisce l'importante dibattito che ne seguì. Sabato la presentazione a Palazzo Albenzio
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«Umberto Eco e il PCI – Arte, Cultura di massa e Strutturalismo in un saggio dimenticato del 1963» è il titolo del libro con il quale Claudio e Giandomenico Crapis, l’uno cassanese e dirigente scolastico, l’altro medico recuperano un vecchio saggio dell’intellettuale piemontese, noto in tutto il mondo e di recente scomparso, ripercorrendone l’iter di riflessioni alla ricerca di parallelismi tra evoluzioni della società e fenomenologia artistica e culturale.

Il testo, edito da Imprimatur, sarà presentato sabato 17 febbraio, alle ore 17.30, presso Palazzo Albenzio in via Vittorio Emanuele III, 38; parteciperanno gli autori insieme alla prof.ssa Antonietta Patrino, presidente dell’Università della Terza Età di Cassano, e il prof. Vito Antonio Leuzzi che animerà la discussione con gli autori.

Ecco la nota che accompagna la presentazione dell’evento.

«Una canzone di Mina non può essere giudicata sul metro della poesia-non poesia e neppure alla luce di una immagine classica dell’uomo. Tuttavia per delle masse enormi soddisfa evidentemente delle esigenze. Quali sono queste esigenze? Secondo quale meccanismo le soddisfa? Le soddisfa o sembra soddisfarle? Esisterebbe un modo diverso per soddisfarle? Una volta che fossero state modificate profondamente le strutture della società in cui viviamo, queste esigenze sopravviverebbero?»

Il 5 e il 12 ottobre 1963, in un momento in cui emergevano tumultuosamente fermenti nuovi nel campo della società e della cultura, il settimanale del Pci «Rinascita» pubblicava un lungo articolo di Umberto Eco «sui problemi della cultura di opposizione». Ne scaturì una vivace discussione che si protrasse per mesi, nella quale intervennero intellettuali ed esponenti del Partito.

Il saggio di Eco gettava un sasso nello stagno delle strategie estetiche marxiste: la precoce notorietà del giovane intellettuale, la novità dell’impostazione, la vastità dei riferimenti, l’introduzione di temi inediti, e la capacità di tenere insieme “alto” e “basso”, nonché di spaziare in campi tra loro molto diversi – dalla musica di Celentano all’antropologia di Lévi-Strauss – ne facevano immediatamente una provocazione feconda per la cultura di sinistra.

Nel suo scritto egli metteva spregiudicatamente al centro dell’analisi la società di massa, i suoi gusti, i suoi consumi, i suoi miti. Il dibattito non si fece attendere, coinvolgendo in prima persona figure come la dirigente comunista Rossana Rossanda, il filosofo Louis Althusser, il poeta Edoardo Sanguineti.

Il denso intervento, e la sua intrinseca politicità, sembra però essere sfuggito in questi decenni alla maggior parte della letteratura critica, dimenticato o tuttalpiù rubricato nella storia del Gruppo 63. È invece qui riproposto, insieme ad una sua puntuale e approfondita analisi critica, storica e semiologica condotta da Claudio e Giandomenico Crapis.

Soprattutto per l’attualità che quella riflessione riveste ancora oggi, se solo si pensa ai diffusi atteggiamenti di sdegnoso rifiuto o – specularmente – di acritica accettazione da parte di intellettuali e politici di sinistra rispetto alla popular culture; e alla rinuncia, nell’uno e nell’altro caso, di qualsiasi tentativo di analisi che vada al di là della ratificazione del già esistente.

Ma il lungo intervento è interessante anche per due altre ragioni. Perché esso anticipava la successiva svolta semiotica dell’autore e perché faceva emergere un aspetto forse inesplorato del primo Eco: la ricerca, lui già cattolico, di un rapporto con la cultura marxista e il tentativo di coniugare Marx con nuove scienze come lo strutturalismo, senza mai abbandonare la forte tensione all’impegno, in un’ottica, come egli sottolineava, “modificatoria” della realtà. Un aspetto, questo, che l’articolo su «Rinascita» illumina di nuovo interesse.

Claudio Crapis, laureato in lettere classiche con Eco a Bologna con una tesi sulla semiotica di Cicerone e Quintiliano, dirigente scolastico, ha pubblicato articoli in varie riviste specializzate («Versus», «Aufidus», «Segni e Comprensione», «Carte semiotiche»); ha curato la voce “Antichità” per il Dizionario della pubblicità (Zanichelli, 1994); ha scritto (con Giovanni Manetti) La théorie contemporaine du signe et la rhétorique ancienne, in S. Ijsserling – G. Vervaecke, Renaissances of Rhetoric (Leuven University Press, 1994).

Giandomenico Crapis, medico, nonché storico della tv e della cultura di massa, ha pubblicato, tra l’altro, Il frigorifero del cervello. Il Pci e la tv da Lascia o raddoppia alla battaglia contro gli spot (Editori Riuniti, 2002), Politica e televisione negli anni ’90 (Meltemi, 2006), Ha vinto la tv. 60 anni di politica e televisione da De Gasperi a Grillo (Imprimatur, 2014) e il recente Enzo Biagi. Lezioni di televisione (Rai Eri, 2016). Ha scritto per «l’Unità» e «il Fatto Quotidiano». Collabora attualmente con «il manifesto».

venerdì 16 Febbraio 2018

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