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L’Eco: «Perché secondo noi è sbagliato intitolare un giardino a Norma Cossetto»

La Redazione
Giorno del Ricordo: giunta comunale dedica un giardino a Norma Cossetto
«Non è solo toponomastica, è storia e politica»: il movimento giovanile interviene nel dibattito attorno alla questione dell'intitolazione alla Cossetto del giardino all'incrocio tra via Fratelli Rosselli e Salvo d'Acquisto
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Come movimento giovanile cittadino, attento alle questioni politiche del nostro paese e da sempre dichiaratosi antifascista, riteniamo fondamentale intervenire nel dibattito pubblico attorno alla questione dell’intitolazione a Norma Cossetto del giardino pubblico all’incrocio tra via Fratelli Rosselli e via Salvo d’Acquisto, giardino già intitolato a Pietro Nenni. Di seguito le nostre motivazioni storiche e politiche che ci spingono ad assumere una posizione ferma ed irremovibile nei confronti di questo atto. In conclusione le nostre domande rivolte all’amministrazione e a tutte le forze politiche.

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Seguiamo con attenzione il dibattito riguardo l'intitolazione della piazza dallo scorso luglio 2020. Dopo la delibera del 10 febbraio 2021 che ha ufficializzato l’intitolazione, abbiamo tentato di avviare un dialogo con l’Amministrazione comunale per sapere se ci fossero i margini per dar vita ad una discussione pubblica sul tema, scoprendo così che si stava già provvedendo con una nuova delibera a revocare il nome della piazza – già intitolata a Pietro Nenni -, non per una motivazione politica quanto piuttosto burocratica.

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L’articolo pubblicato sul periodico “La voce del paese” nel numero di marzo 2021 a firma di G. Brunelli, ci permette dunque di intervenire apertamente nella speranza di avviare un dibattito pubblico che non si limiti a semplici questioni di ordine burocratico e di toponomastica, ma possa in qualche modo elevarsi e andare a fondo della questione, che per sua natura è politica e molto più profonda e grave di come è stata presentata.

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Da sempre lo spazio pubblico, per sua natura e funzione, è oggetto di attenzione da parte dell’autorità pubblica che lo struttura, costruisce, ridisegna, nominando piazze e strade secondo un preciso intento: plasmare l’identità della comunità che abita questi luoghi.

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Si tratta di un’operazione precisa e non casuale, che punta a strutturare le identità collettive indicando quelli che sono i nomi, le date, gli eventi da ricordare ed imprimere nella “memoria collettiva”. E così, come strati della storia, si sono sedimentati Piazza Garibaldi, Via Vittorio Emanuele, Via Unità d’Italia, Via Roma, Via Vittorio Veneto, Via Trento, Via Caduti di tutti le Guerre; ma abbiamo anche Via Gramsci, Viale della Resistenza, Piazza Nenni, Piazza Moro. Insomma, tutto frutto delle politiche della memoria e delle volontà delle varie autorità pubbliche succedutesi nel passato.

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Entrando più nel merito dell’intitolazione del giardino a Norma Cossetto, va innanzitutto fatta una distinzione di livelli, fondamentale per comprendere nella sua complessità la questione.

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Leggendo gli atti del consiglio comunale del 16 luglio 2020 e la successiva delibera di giunta del 10 febbraio 2021, si incorre in una serie di narrazioni confuse, una generalizzazione impressionante dei fatti storici, cifre e numeri declamati senza apporre alcuna evidenza documentaria, accostamenti impropri, oltre a retoriche e autocelebrazioni personalistiche.

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Tutti elementi poco adeguati ad una lettura seria dei fatti storici e soprattutto poco adeguati a giustificare l’intitolazione di uno spazio pubblico.

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Dunque, secondo la nostra opinione, se si vuole realmente comprendere la questione in termini storici e scientifici, è necessario introdurre una prima distinzione tra storia e memoria. Distinzione che purtroppo, come per questo caso, viene spesso dimenticata o del tutto ignorata.

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In ambito storiografico il dibattito sul rapporto tra storia e memoria è ancora aperto: molti storici sono concordi nel sostenere che la memoria individuale non può essere considerata come un archivio di ricordi inconsci, puri ed indipendenti, ma al contrario la memoria si costruisce coscientemente nelle dinamiche sociali e reagisce a queste.

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La pluralità dei soggetti inseriti nella rete dei rapporti sociali determina una pluralità di memorie collettive che, in base alla loro relazione con il pensiero dominante, si vengono a definire come divisive, antagoniste o celebrative.

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La memoria è da considerare dunque un prodotto sociale, diretta espressione della società e dei suoi rapporti di forza. Su questa base si colloca il rapporto tra memoria e potere: quest’ultimo piega, plasma, modella la memoria al fine ricomporre un quadro unitario di memorie per veicolare un’immagine del passato in linea con il pensiero dominante e con i propri interessi.[1]

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In conclusione il rapporto tra storia e memoria si viene a configurare sulla base della relazione memoria-potere, come possibilità di “controllo” del passato e narrazione dello stesso nel presente. La memoria individuale e collettiva, è selettiva, non rigorosa, non ha funzione di sistematizzare la narrazione del passato dunque si presta ad essere strumento del potere. Spetta alla Storia, sulla base del rigore metodologico e scientifico, “ricucire” le contraddizioni e ricostruire la narrazione del passato.[2]

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Un ultimo aspetto da tener presente è la tendenza all’«ipertrofia della memoria»: si tratta del ricorso sempre più frequente a narrazioni memoriali, che ha la finalità di mettere in discussione, riscrivere la narrazione storica del passato per costruire nuove identità collettive. 

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Attualmente ci troviamo in una fase di ipertrofia della memoria, apertasi attorno agli

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anni ’80 -’90, non si tratta di un fenomeno totalmente nuovo; il ricorso alle memorie o a particolari narrazioni memoriali diventa più frequente nei periodi di crisi o di transizione, quando vengono meno le certezze e si cercano nuove radici a cui ancorare appartenenze e identità. In queste dinamiche contraddittorie, frequentemente si scivola verso forme di “uso pubblico della storia”: narrazioni distorte che propongono «una lettura del passato polemica nei confronti del senso comune storico o storiografico»[3].[4]

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Fatte le necessarie premesse teoriche, la questione delle foibe, dell’ “odio anti-italiano”, dell’esodo, e soprattutto della storia e la vita di Norma Cossetto, ad oggi sono tra gli eventi storici che maggiormente si prestano ad un discorso di riscrittura della memoria collettiva e alle dinamiche appena descritte.

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Non potendo in questo spazio ripercorrere la storia ed analizzare a fondo il contesto delle violenze del movimento di resistenza jugoslavo all’occupazione fascista delle aree balcaniche, ci concentriamo piuttosto nel ricostruire i fatti e le dinamiche che riguardano la dimensione della memoria di questi eventi e quale uso pubblico se ne è fatto.

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Qualora fosse necessario ribadiamo la nostra disponibilità a parlare di questi eventi storici, tuttavia l’intento dell’intervento è quello di chiarire quali sono le dinamiche politiche alle spalle della costruzione della memoria pubblica.

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Dalla fine della Seconda guerra mondiale per tutti gli anni della Prima Repubblica, le politiche della memoria collettiva si sono incentrate su due elementi: la lotta partigiana di liberazione e il mito degli “Italiani brava gente”. Questa costruzione memoriale era retta e sostenuta da tutto il sistema politico italiano, dalla DC al PCI, che trovava legittimazione proprio nell’antifascismo.[5]

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In questo contesto sollevare la questione delle foibe e delle violenze dei partigiani jugoslavi 

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avrebbe messo in crisi il paradigma della memoria dominante, in quanto anche i partigiani jugoslavi hanno condotto una guerra di liberazione dal fascismo.

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La questione delle foibe entra con gran forza nel dibattito pubblico a partire dagli anni ‘90 quando il quadro politico nazionale ed internazionale rende proficuo riportare alla memoria questi eventi ed adattarli ad un uso politico capace di mettere in contraddizione il paradigma della memoria che fino ad ora aveva legittimato il sistema politico antifascista.

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Caduta la prima repubblica, le forze neofasciste raccolte in Alleanza Nazionale ebbero necessità di legittimarsi come partito di governo. Assieme alle altre letture revisioniste del fascismo, che vennero sdoganate in questi anni, il tema delle foibe si mostrò perfetto ad avvalorare la tesi secondo cui i crimini di guerra non erano solo del nazi-fascismo ma anche del comunismo, e di conseguenza era necessaria una memoria bipartisan.

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Allo stesso modo per gli eredi del PCI, abbandonati gli ideali comunisti e internazionalisti, divenne necessario trovare una via di legittimazione come forza politica nazionale. Dunque tra le altre cose, trovarono utile appoggiare la lettura del fenomeno delle foibe come “crimine comunista”, per dar prova della loro fedeltà alla nuova veste politica.

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Frantumata la Jugoslavia, i nuovi stati-nazione come Croazia e Slovenia, al fine di legittimarsi in opposizione a quella che fu l’esperienza jugoslava, trovano proficuo rispolverare tutte le narrazioni negative dei partigiani jugoslavi e della guerra di liberazione.

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Il tema delle foibe, tabù per tutte le forze politiche fino a poco tempo prima, entrò così nell’agenda politica e divenne elemento cardine della nuova memoria bipartisan. In questo modo si giunge all’istituzione della Giornata del Ricordo nel 2004.[6]

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Da questi passaggi risulta chiaro il fatto che si tratti di un uso politico della storia, un uso poco interessato a comprenderne le dinamiche, la realtà, la problematicità degli eventi, quanto piuttosto piegarli grossolanamente ad un uso politico, distorcendo la narrazione, esaltando alcuni aspetti ed obliandone degli altri al fine di legittimare una precisa narrazione.

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Dunque se si vuole ricordare e ricostruire gli eventi e gli accadimenti del Fronte Orientale durante la Seconda Guerra mondiale, comprendere il contesto delle violenze partigiane, il motivo per il quale fossero dirette in primo luogo contro i fascisti e non gli italiani indistintamente, è opportuno scavare sui libri di storia piuttosto che affidarsi e piegarsi a narrazioni ideologiche distorte e scarsamente documentate. 

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Tralasciando la generale confusione di livelli della discussione del Consiglio Comunale ci piacerebbe analizzare attentamente e soppesare le parole di accompagnamento e di motivazione della nomina del giardino a Norma Cossetto. Parole che hanno destato in noi non pochi dubbi.

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Da nota del 09/07/2020 prot n.6753, riportata integralmente nel verbale della seduta del Consiglio Comunale del 16/07/2020:

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Attraverso la commemorazione ed il ricordo di donne divenute simboli di virtù costituzionali, legalità, sacrificio, spirito di abnegazione e libertà voglio coinvolgere tutto il consiglio comunale al semantico significato che rappresenta in se e di cui si nutre attraverso l’ispirazione a tali virtù.

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Una di queste donne è Norma Cossetto, di cui oggi rappresentiamo a rievocarne, assieme all’identità, la sua straordinaria vita.

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Essa rappresenta l’identità della nostra comunità, forgiata dal sacrificio e dall’amore verso i propri simili attraverso il volto di donna straordinaria che attraverso la sua vita è andata oltre ogni confine ideologico, culturale, identitario.

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Donna coraggiosa la cui voce ha avuto il potere di cambiare pezzi di storia attraverso la gentilezza, la non belligeranza, l’amore e la generosità.

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Essa rappresenta la voce della legalità, della giustizia finalizzata al raggiungimento di tutela dei diritti umani, libertà, dignità […].

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Ci chiediamo in primo luogo come possa essere Norma Cossetto, – dichiaratasi fascista sino al punto di morte, impegnata nel partito e nella diffusione del fascismo in quei territori, nonché figlia dell’importante gerarca fascista e comandante della Milizia, Giuseppe Cossetto- [7], portatrice di “virtù costituzionali”, dal momento che la Costituzione italiana a cui si fa riferimento nasce proprio dalla vittoria delle forze antifasciste contro il regime fascista.

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Chiediamo prove documentarie e testimonianze storiche che spieghino in che modo Norma Cossetto abbia potuto “cambiare pezzi di storia attraverso la gentilezza, la non belligeranza, l’amore e la generosità” durante l’occupazione militare fascista nei territori nord orientali.

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Chiediamo ancora se la “voce della legalità, della giustizia finalizzata al raggiungimento di tutela dei diritti umani, libertà, dignità” di cui – a detta dei firmatari della delibera – è rappresentante Norma Cossetto, valga anche per le popolazioni slave che hanno subito l’occupazione militare fascista. Occupazione militare che si è fregiata di ben altri meriti come testimonia la celebre “Circolare 3C” redatta nel 1942 dal generale Mario Roatta, comandante della Seconda Armata, in cui si impone la distruzione di villaggi, la cattura di ostaggi e le fucilazioni per rappresaglia, tutte misure per attuare la nota politica “testa per dente” di repressione del movimento di resistenza jugoslavo, e per fiaccare l’appoggio della popolazione civile a questo.[8]

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In conclusione rivolgiamo una domanda anche alle forze democratiche e di “sinistra” dentro e fuori il Consiglio Comunale, forze sempre pronte a sventolare la bandiera dell’antifascismo nelle date ufficiali.

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Chiediamo loro il motivo, non solo del silenzio, ma soprattutto dell’assenso a questo genere di iniziative, portate avanti da elementi della maggioranza dichiaratamente appartenenti a partiti politici di destra. 

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Ci chiediamo dunque se l’antifascismo è valido soltanto durante la campagna elettorale, o se questa non è una questione importante.

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A conclusione del presente intervento ci rendiamo disponibili ed aperti al dialogo e al confronto con chiunque abbia voglia di intavolare un dibattito. L’unica condizione che poniamo è che venga mantenuto il livello scientifico della questione, che si avvalorino le tesi con le dovute prove documentarie quando necessario e che soprattutto il dibattito non scada in accuse ideologiche e facili retoriche, alle quali non risponderemo in alcun caso. 

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Non è solo toponomastica, è storia e politica.

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L’Eco – Il rumore del cambiamento.

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Riferimenti:

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[1] F. Lussana, Memoria e memorie nel dibattito storiografico, “Studi Storici”, vol. 41, no.4, 2000, pp.1051 e seguenti. http://www.jstor.org/stable/20567050, consultato il 27/03/2021

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[2] Ivi, pp. 1076-1080.

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[3] La citazione è di N. Gallerano, L’uso pubblico della storia, Franco Angeli, Milano, 1995, p.17.

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[4] F. Focardi, B. Groppo, L’Europa e le sue memorie, Politiche e culture del ricordo dopo il 1989, Viella, 2013, pp.7-18.

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[5] F. Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Laterza, Bari, 2013, pp. 79-193.

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[6] E. Gobetti, E allora le foibe?, Laterza, Bari, 2021, cap.9 “La congiura del silenzio”, par.14.1-14.18(ebook).

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[7] Ivi, cap.3 par.8.4-8.6 (ebook).

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[8] Testo integrale della Circolare 3C redatta da Mario Roatta: http://www.criminidiguerra.it/CIRC3C1.shtml<span style="color:#000000">; consultato il 27/03/2021.

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domenica 28 Marzo 2021

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